Madre Giulia, apostola della modernità
di Maria Forte
Tra le tante espressioni o formule con le quali è possibile descrivere Madre Giulia, una delle più significative, capace di sintetizzare l’esperienza umana e spirituale della santa, è quella utilizzata dal biografo e postulatore della causa di canonizzazione Nunzio D’Elia che la definisce «apostola della modernità».
Madre Giulia è sicuramente apostola, cioè inviata: come tale, è pronta a de-localizzarsi, cioè ad abbandonare ogni certezza per compiere l’unica sua certezza: la missione catechistica che avverte, fin da giovanissima, come urgente e imprescindibile nel tempo difficile nel quale vive.
La sua identità di genere e di formazione culturale e religiosa ne fa un soggetto di frontiera: come ricorda D’Elia «è una donna laica che si muove con profetico spirito di iniziativa apostolica in un terreno tradizionalmente solcato dai religiosi» (Nunzio D’Elia, Santa Giulia Salzano, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 20102) .
E’ donna, laica, educatrice (nella doppia veste di insegnante e di catechista), in un contesto sociale, politico ed ecclesiale nel quale ognuno di questi caratteri è problematico : lei interpreta ciascuno dei ruoli che la caratterizzano valorizzandone la dimensione propositiva, senza lasciarli rinchiusi negli stereotipi del suo tempo.
Con coraggio e determinazione li emancipa da quello che era il loro denominatore comune e cioè la subordinazione.
Madre Giulia, apostola della modernità, non è un’insubordinata né una ribelle, ma ha saputo interpretare e vivere profeticamente la virtù dell’obbedienza, fondamentale nella sua opera, scindendola dalla subordinazione.
Ne è testimonianza il difficile rapporto con don Modesto Catalano, designato quale Superiore dell’Opera catechistica, che culmina con una lettera del 16 ottobre 1907, nella quale il sacerdote chiedeva a madre Giulia, «di dipendere [da lui, in quanto superiore, n.d.r.] come una bambina, completamente, assolutamente, impreteribilmente, e non nelle cose spirituali soltanto, ma nelle temporali ancora, non soltanto nelle cose personali, ma eziandio in quelle dell’opera e dell’Istituto, non solo nelle cose di gran momento, ma anche nelle cose più minute. … Sottomissione intera, cioè di giudizio, di volontà, di azione, non giudicando, non volendo, né operando, se non col giudizio, con la volontà, con l’opera della persona che Dio le ha mandata» (ivi). La chiave di lettura per interpretare questa affermazione è data ancora da D’Elia, il quale ricorda che «Giulia era mossa da una profonda aspirazione al bene e, pur se obbediente, non poteva consentire che la sua intuizione apostolica, volta fondamentalmente alla divulgazione del catechismo, fosse in qualche modo considerata secondaria o addirittura compressa dalla volontà di incanalare il nuovo Istituto nel solco tradizionale dell’esclusivo perfezionamento personale» (Ivi).
Gli atti del processo per la canonizzazione ce la descrivono, come ricorda D’Elia, «attenta nell’amicizia e amante della verità, la Santa praticò con esattezza anche l’obbedienza, innanzitutto nei confronti della madre, poi nei confronti del clero, conciliandola con la fermezza e la fortezza» (Ivi).
Madre Giulia ha esercitato il suo ministero di «Apostola della modernità» anche rispetto alla comprensione del ruolo e della identità della catechesi.
Quella di donna Giulietta, come era chiamata, è stata una catechesi integrale: ha avuto ben presente il fatto che le direttrici della catechesi fossero la fede, la speranza e la carità, ed ha saputo testimoniare (e non soltanto insegnare) le tre virtù nella loro integralità e, soprattutto, nella consapevolezza della impossibilità di scindere l’una dall’altra.
Proprio in merito alla testimonianza resa attraverso la sua esistenza, con una ispirazione che potremmo definire paolina [cfr Inno alla carità, 1 Cor 1-13 : «Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità»], ha fatto della carità il filo conduttore e l’architrave della sua opera. D’Elia ricorda che «L’amore per Dio non restò chiuso in sé, ma si aprì con generosità nei confronti degli altri, sicché alla contemplazione si unì sempre un’azione» (Ivi).
L’affermazione è confermata anche da una delle testimoni del processo apostolico, la quale dice che «Amando Dio, donna Giulietta non poteva non amare il prossimo» (Ivi).
Uno dei tanti possibili esempi dell’esercizio della carità viene in occasione della Prima Guerra mondiale quando, come ricorda D’Elia, «madre Giulia diventava più operosa del solito, mettendo a disposizione dei soldati la casa e la chiesa che lasciava aperta tutti i giorni, affidando ad alcune signore, aggregate all’Istituto, di provvedere alle loro necessità materiali e spirituali» (Ivi).
La chiarezza interiore che le ha consentito di vivere la catechesi come frutto necessario dell’amore di Dio ha dato alla sua missione un ulteriore carattere di modernità: ella ha voluto con forza, ma anche con spontaneità, che la catechesi fosse incarnata, capace di dare vita alle formule dottrinali e di assumere il coraggio di farsi Storia. Lo chiarisce il ricordo del signor Francesco De Paola, teste del processo ordinario, il quale afferma: «Visitava gli infermi e soccorreva i poveri, non solo per naturale sentimento, ma soprattutto per motivo soprannaturale. Si recava anche nelle case dei poveri, e con più frequenza, sapendoli infermi, sovvenzionandoli con biancheria, medicine, cibi e tutto l’occorrente che andava mendicando dai benestanti, non risparmiandosi nessuna fatica e umiliazione per venire incontro agli infermi ed ai poveri in generale. Faceva per i poveri la raccolta del pane di S. Antonio e si industriava in mille modi per soccorrerli» (Ivi).
La carità verso il prossimo non è stata interpretata da madre Giulia esclusivamente come il provvedere alle necessità materiali, ma, come afferma ancora D’Elia, «il segno più evidente della carità verso il prossimo è la preoccupazione e l’impegno per la sua salvezza eterna. La preoccupazione della salvezza delle anime si esplicitava nell’esigenza di istruire tutti nei misteri della fede … Di qui la costante ricerca di assicurare e favorire la diffusione del catechismo» (Ivi).
La definizione di «Apostola della modernità» può essere ulteriormente declinata, fino a divenire una lezione per la cosiddetta postmodernità: attenta alle esigenze del tempo nel quale vive e, oggi diremmo, del territorio, comprende che la catechesi è viva se incontra le persone nel concreto del loro esistente:
«Perciò volle istruire nelle verità della fede, attraverso il catechismo, in un primo tempo i fanciulli e le giovani, quindi gli anziani; per questi ultimi ella faceva dei corsi particolari nel pomeriggio e anche a sera, per poter raccogliere coloro che erano impediti a causa delle occupazioni domestiche e del lavoro» (Ivi). La modernità e l’attualità stanno nella sua capacità di «andare verso», come abbiamo scritto all’inizio, di de-locatizzarsi: istituire corsi in orari diversi, destinati a tutti, fanciulli, uomini, donne, è il segno del suo saper guardare il mondo e intercettarne gli stili; ma ha capito anche l’importanza di una catechesi che accompagnasse in tutte le stagioni della vita.
Madre Giulia è stata e continua ad essere «Apostola della modernità» per la sua capacità di sguardo «globale» e per la convinzione che ogni tempo della vita sia adatto, anzi, destinato all’impegno. Rivolgendosi alle sue suore dà un indicatore di direzione esistenziale a cui tutti possono guardare per orientare il proprio agire: «Non limitate la vostra opera personale allo stretto orizzonte abbracciato dal vostro sguardo, perché il Signore l’ha distribuita per tutti gli anni, per tutte le settimane e per tutti i giorni della vita che vi ha destinata; a voi non chiede che una cosa sola: che facciate il vostro dovere fedelmente, momento per momento. Egli vi vuole sempre pronte, coi lombi cinti, la fiaccola in mano, nell’attesa di lui e badate che il Figlio dell’uomo verrà quando meno pensate» (Santa Giulia Salzano (a cura di Nunzio D’Elia), La gioia della santità. Pensieri e massime, San Paolo, Cinisello Balsamo 20102).